Non è da tutti coltivare il pistacchio! Lo sanno bene gli agricoltori che si dedicano alla coltivazione di questa splendida pianta, tanto preziosa quanto avara in termini di produttività.
Il Pistacchio (Pistacia vera) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae che include anche il mango, la acagiu, l’albero del pepe e il sommacco. Può raggiungere i 10 m di altezza ma cresce lentamente ed è molto longevo: può arrivare anche a 350 anni.
Abbastanza rustico come esigenze pedologiche, il Pistacchio si adatta bene a vari tipi di terreno, l’importante è che sia ben drenante, poiché non tollera i ristagni di umidità e che abbia un PH compreso tra 6-8.
La pianta di pistacchio non presenta particolari difficoltà di allevamento, ma bisogna aver pazienza perché si tratta di una pianta tardiva, che inizia a fruttificare dopo 5-6 anni dall’impianto. Ed occorrono circa 15 anni affinché l’albero di pistacchio entri in piena produttività, con produzioni che vanno da 20 a 30 chili per albero.
Il periodo della fioritura corrisponde con quello della primavera a marzo/aprile – in base alla varietà del pistacchio e all’altitudine dell’impianto – e dura una settimana. La raccolta del pistacchio va dalla fine di agosto fino alla fine di settembre.
Il pistacchio è un albero di clima desertico, benché esistano alcune varietà con maggiore tolleranza al freddo, arrivando perfino a sopportare -20° C.
Il sud Italia si presta bene alla coltivazione del pistacchio. Molto resistente alla siccità, in Sicilia viene coltivato su terreni calcarei e soprattutto su substrati di origine vulcanica. In questa regione vi è storicamente una coltivazione di nicchia molto rinomata; famosi sono, infatti, i pistacchi di Bronte e Adrano (prov. di Catania), tutelati dal marchio DOP “Pistacchio Verde di Bronte“.
Una piantagione di pistacchi deve essere di almeno mezzo ettaro, estensione che permette di realizzare un piccolo reddito. Per diventare
pistacchicultore si consiglia di coltivare almeno 5 ettari, in modo da realizzare un buon reddito.
Sesto di impianto per pistacchi Fonte: Vivai Grassia di Salvo Grassia Az. Agr.
Il Pistacchio è molto prezioso, un vero e proprio oro verde; ancora oggi sul mercato vengono piazzati ad un prezzo 4-5 volte maggiore di nocciole e mandorle.
Ogni tesoro ha il suo prezzo; la coltivazione del pistacchio ha bisogno di una particolare attenzione agronomica necessaria in quanto, per poter fruttificare, è indispensabile la presenza di una pianta pistacchio maschio, essendo una specie dioica.
Il pistacchio maschio, solitamente, fiorisce prima è ciò rende impossibile la fecondazione degli individui femminili nell’anno in corso. Anche per questo la migliore produzione dei pistacchi avviene ad anni alterni ma tale attitudine viene gestita dal pistacchicoltore per preservare la qualità del frutto ed evitare l’eccessivo sfruttamento.
Per ovviare a questi inconvenienti e per poter addomesticare al meglio la pianta, i coltivatori di pistacchio delle varietà nostrane hanno fatto i salti mortali. Lontani dalle tecniche dell’agricoltura industriale – più per necessità – che per scelta di vita, le loro mani sapienti hanno trovato il modo di aumentare la produttività innestando insieme piante maschio e femmina e affidandosi al polline del terebinto (Pistacia terebinthus) per la fecondazione, una specie selvatica affine.
La coltivazione industriale del pistacchio è, al contrario, molto più semplice ed ha, durante il secolo scorso, preso via via piede in diverse parti del mondo. Attualmente i maggiori produttori di pistacchio sono l’Iran, gli USA e la Turchia, paesi dove si può contare su impianti altamente specializzati o dove è disponibile ampia manodopera a basso costo.
Ma, lo sappiamo bene, quantità non sempre fa rima con qualità!
Bronte – una piccola cittadina alle falde dell’Etna. Nulla a che vedere con la coltivazione industriale. In questa zona iniziarono a coltivare il pistacchio solo nel XIX secolo ma quasi subito risultò essere la produzione migliore come dimostra ancora oggi il prezzo pagato sul mercato internazionale.
Forma allungata, esterno dal colore viola acceso e interno verde smeraldo, profumo delicato, gusto superiore e persistente, l’ingrediente perfetto per l’alta pasticceria. Sono queste le caratteristiche del Pistacchio di Bronte DOP.
Ma quanto lavoro per rendere coltivabili paesaggi brulli e scolpiti dalla lava, per addomesticare piante di pistacchio che sembrano sorgere direttamente dalla pietra scura, senza il filtro e il sostegno fornito dalla terra.
Gli alberi di pistacchio crescono abbarbicati alla roccia lavica, su di un terreno impraticabile ai macchinari. E si tratta di una pianta avara, che produce poco e saltuariamente, che richiede molta manodopera – soprattutto manuale – di agricoltori specializzati.
Quanta fatica per affermare il proprio riscatto dalla miseria, quanto sudore per rendere fertile ciò che prima era solo fuoco e deserto, tutto apparentemente infecondo. Una lotta impari tra clima avverso, territorio ostile e mille altre insidie.
Eppure la sfida fu raccolta e vinta, le piante di pistacchio innestate ed allevate, la lava frantumata e ordinata in piccole terrazze coltivate, i pistacchieti protetti da muri e recinti per arginare la forza del vento e la fame degli animali selvatici.
Ai giorni nostri si direbbe un’agricoltura eroica, tenace, anche testarda che identifica il proprio scopo nella volontà incrollabile di creare valore, non solo agronomico ma anche sociale e culturale. Un legame intimo con la terra che l’uomo, ormai da millenni, suggella tramite la coltivazione di questa pianta.
Io me li immagino così i coltivatori di Pistacchio: mi immagino che alla fine delle loro giornate di fatica, dopo aver raccolto, irrigato, potato, curato le proprie piante, sotto un pergolato tirino tutti insieme un bel sospiro di sollievo…! Perché me li immagino così?!?
Perché anche alla fine della giornata di lavoro più dura, tutto appare dolce se arriva un bel gelato cremoso al Pistacchio! Molto meglio se Pistacchio di Bronte DOP.
Salvatore Calabria
E’ inutile negarlo: i cambiamenti climatici incidono ed incideranno sempre più sulle vite di tutti noi! E gli effetti si toccano già con mano: aumentano le zone che soffrono di carenza idrica, siccità, desertificazione (ovvero l’ascesa in latitudine delle zone ove la vegetazione tipica non trova più l’optimum per i normali cicli vitali).
Sembra una impresa titanica, in effetti molti studi divergono sulle teorie dell’aumento delle temperature e sulle conseguenti modifiche climatiche, a volte anche disastrose, non solo fisicamente ma anche economicamente. È veramente un problema antropico, dovuto cioè all’espansione e alle pretese commerciali umane, o è solo una normale ciclicità ambientale (ricordiamo le ere e microere glaciali)?
Anche nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa, utilizzando le fonti energetiche rinnovabili invece che le risorse fossili di carbonio (petrolio e derivati, gas, carbone); ma anche adottando buone pratiche colturali e selvicolturali, aumentando la biodiversità, effettuando lavorazioni essenziali e oculate, e non per ultimo impiegando responsabilmente le risorse idriche.
Lo stiamo notando sempre più anche in Italia, pure in zone dove non si sarebbe mai immaginato di avere carenze idriche, anche sulle Alpi.
E’ necessario risparmiare il prezioso liquido, l’unico veramente indispensabile sul nostro pianeta. È necessario averne a disposizione per i momenti più critici delle nostre colture.
Questo spinge sempre più la ricerca a trovare metodi per risparmiare risorse idriche o addirittura usare fonti alternative di irrigazione.
Questo concetto si estremizza nell’utilizzo di acque salmastre o addirittura saline (ricordia
mo semplicemente che il 97% dell’acqua sul nostro pianeta è salata, e il 2% è indisponibile perché allo stato solido nei ghiacciai e nelle calotte polari).
Non è del tutto vero: il contatto diretto con acque ricche di sali (soprattutto sodio ma anche potassio, magnesio, etc.) influisce negativamente su microflora e microfauna, indispensabili per la corretta evoluzione fisica e chimica del suolo (ricordiamo tessitura e processi di umificazione). E oltretutto inibisce lo scambio osmotico radicale, ovvero il mezzo impiegato dai vegetali per assorbire l’acqua e i nutrienti in essa disciolti. Non per ultimo, potrebbe essere determinante per la scelta colturale, dato che molti sali o soluzioni da essi derivanti così possono modificare il pH del substrato, aumentando la salinità del terreno.
Il trucco consiste nell’evitare che i sali giungano o si accumulino in prossimità dell’apparato radicale, inibendone le funzioni osmotiche, coltivando su substrati ricchi di sabbie, molto drenanti quindi, e diffondendo l’acqua negli strati sottostanti la zona radicale. Facendo sì che il capillizio venga raggiunto dall’umidità dovuta all’evaporazione.
Naturalmente dobbiamo conoscere molto bene le tolleranze e il tipo di apparato radicale delle specie che si andranno a coltivare. Più profondo sarà l’apparato radicale, e più alto sarà il tenore di sali in soluzione, più in basso dovrà trovarsi la fonte di irrigazione.
Inoltre, maggiore sarà la piovosità media annua della stazione, maggiore sarà il dilavamento dei sali, minore il loro accumulo, e migliori i risultati.
Tale tecnica colturale potrà essere applicata quindi non solo a specie di interesse economico che tollerano bene alte concentrazioni di sali, come barbabietola, orzo e sorgo, ma anche a quelle meno tolleranti, come patate, pomodori e lattuga.
La coltivazione dell’avocado è tra le coltivazioni del momento. Sarà perché le colture arboree tradizionali (agrumi, drupacee) soffrono di continue crisi di mercato, sarà perché ben si adatta ai cambiamenti climatici, sarà, soprattutto, perché decisamente più redditizia ma l’avocado è un po’ sulla bocca di tutti gli agricoltori (soprattutto nel sud Italia) ed anche di chi vorrebbe diventarlo.
L’avocado (Persea americana) appartiene alla famiglia delle Lauraceae ed è originario dell’America Centrale; specie prettamente a carattere tropicale oggi, grazie ai cambiamenti climatici, è possibile coltivare l’avocado anche nelle zone più miti del bacino del Mediterraneo, soprattutto le varietà che sono state selezionate per essere produttive nei nostri areali. Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, ma è bene evitare quelli eccessivamente argillosi o salmastri.
Perché l’avocado è così di moda e redditizio? Si tratta di frutto molto apprezzato dal mercato; ma perché?
L’avocado è effettivamente un frutto dalle eccellenti proprietà nutrizionali: 100 grammi di avocado contengono circa 150 calorie. Vi si trova un po’ di tutto: fibre, grassi buoni insaturi (omega 3 e omega 6), potassio, vitamine del gruppo B e K, vitamina C ed E.
Per quanto suddetto (e anche grazie a politiche di marketing decisamente azzeccate), da diversi anni ormai, l’avocado è uno tra i frutti esotici più ricercati, e i prezzi all’ingrosso e al dettaglio lo confermano: girando nei diversi mercati ortofrutticoli è difficile trovare l’avocado a meno di 3,5/4 euro al kg; non parliamo poi dei prezzi al dettaglio: nelle boutique della frutta ci si può imbattere in prezzi che vanno da 2 ai 5 euro al pezzo, per singolo avocado!
Considerate che, in media, un avocado pesa dai 300 ai 500 grammi e che, levata buccia e seme, la parte commestibile non supera il 50% del peso totale. L’avocado è decisamente una coltivazione redditizia!
Essendo una pianta esotica, il primo limite relativo alla coltivazione dell’avocado è il clima: sopporta al massimo temperature di – 3 °C. Ma nonostante tema il gelo, l’avocado si dimostra anche più adattabile degli agrumi e cresce bene nelle zone temperate del Sud e lungo le coste della nostra penisola. Teniamo presente che l’avocado ama il pieno sole e la luce intensa e, pur essendo una pianta sempreverde, presenta in alcune varietà, una filloptosi (caduta delle foglie) quasi completa in prossimità della fioritura.
L’avocado può essere anche coltivato in vaso, ma bisogna aver cura di proteggerlo durante l’inverno (tenendolo in serra o coperto con del tessuto) e sostituendo tutti gli anni il vaso, per garantire alle vigorose radici di trovare lo spazio necessario e potandolo spesso per mantenere le dimensioni della chioma adeguate al contenitore.
Il secondo problema relativo alla coltivazione di avocado è lo spazio: l’avocado è infatti una pianta a crescita rapida di medie dimensioni, vale a dire di circa 10 m di altezza che in condizioni ottimali possono diventare anche 15-20 m.
Inoltre, le varietà di avocado più diffuse sono caratterizzate dall’impossibilità di autofecondarsi anche se dotate di fiori ermafroditi. Allora come riesce a fruttificare?
Le cultivar di avocado vengono distinte in due gruppi: A e B; nel primo si ha la recettività del pistillo solo quando le antere sono piegate (le prime ore del mattino) e il polline non può effettuare la fecondazione, mentre nel secondo si verifica l’inverso; pertanto, per poter fruttificare, occorre la presenza di varietà di entrambi i gruppi per ottenere, quindi, l’impollinazione incrociata.
Si può considerare una pianta di rapido accrescimento; in tre anni, in condizioni ottimali, l’avocado raggiunge e supera le dimensioni di un agrume con oltre 10 anni di età. Le piantine innestate si possono porre a dimora sia in autunno che nel periodo di inizio primavera. Per l’impianto si possono adottare sesti dinamici 5 x 4 m per poi ottenere sesti definitivi di 5 x 8 m.
Riguardo alle necessità idriche, mediamente, si può fare riferimento alle esigenze idriche di un agrumeto. Quanto alle concimazioni dell’avocado, inizialmente dovrà esserci un maggior apporto di azoto mentre successivamente, avviata la fruttificazione, la pianta avrà più bisogno di potassio.
L’avocado necessita di limitati interventi di potatura, da eseguirsi la prima volta dopo diversi anni dal trapianto e successivamente solo saltuariamente al fine di sfoltire la vegetazione.
La specie è considerata abbastanza resistente agli stress, sia di tipo biotico che abiotico. L’avocado teme il marciume radicale e lo sviluppo di funghi nei pressi del colletto, favoriti dall’eccesso di annaffiature e dai ristagni idrici; segnalati casi di attacco da parte di mosche della frutta.